Tema di Italiano e Storia di Michael Petrolini
Con l'ultima Primavera araba e la conseguente liberazione della Libia dal controllo del generale Gheddafi, è tornato di rilevanza il termine "tirannia" e il conseguente "tirannicidio". Infatti lo stato voluto dal sopracitato generale, nel quale era assente qualsiasi tipo di libertà, in cui i mezzi di informazione erano sotto il diretto controllo del governo e le poche fonti libere presenti sul web venivano censurate, in cui i singoli oppositori politici venivano arrestati e uccisi, non può che chiamarsi una tirannia. Per uno studente liceale però la parola "tiranno" ha radici ben più remote: già l'antica Grecia, e in particolare anche la stessa Atene, aveva avuto a che fare con questo genere di dominio. Non era infatti raro che, durante un periodo di forti lotte cittadine, un personaggio di spicco nella società cittadina prendesse le redini della situazione e usasse il popolo per i propri scopi in cambio di qualche concessione temporanea. Accadeva però che la vita di questo despota fosse breve, poiché il popolo controllato da un nuovo tiranno faceva decadere quello precedente con la violenza. Ma quand'è che diventa un bene uccidere un altro uomo? Qual è quel confine sottile che porta un’ azione riprovevole e di norma condannata dalle leggi e soprattutto dal senso di umanità ad essere un atto giusto e degno di lode? Proprio a questo pensavo quando la guida, durante la visita ai luoghi dell'operazione Anthropoid, ci parlò dei due giovani cechi, Gabcik e Luris, che posero fine alla vita del generale SS Heydrick. Friedrich Heydrick, l'uomo più potente del terzo Reich dopo Hitler e Himmler, era diventato dal 1940 Governatore del Protettorato di Boemia e Moravia e aveva svolto il suo compito in maniera tale da essere ricordato con l'appellativo di "Boia di Praga". Il governo eletto precedentemente in Cecoslovacchia si era rifugiato in Inghilterra e, per provare agli Alleati il desiderio dei cechi di liberarsi dal potere nazista, promosse l'operazione Anthropoid, che aveva l'obiettivo di assassinare Heydrick. Una volta portato a termine l'omicidio, la rappresaglia tedesca fu immane e solo dopo una serie di devastazioni e la cancellazione del paese di Lidice, del quale non rimasero neanche le macerie, riuscì a trovare il nascondiglio dei partigiani, la cripta di una chiesa ortodossa a Praga; i sette responsabili però preferirono la morte alla cattura. Questi ragazzi sono giustamente ricordati come degli eroi della nazione. Bisogna tuttavia tenere presente che l'azione per cui sono lodati è stata la soppressione di un altro uomo. Diventa quindi un diritto, quasi un dovere, porre fine alla vita di un tiranno? Questo dubbio può riproporsi, ad esempio, rispetto alla recente scomparsa del dittatore del Venezuela Hugo Chavez. Costui prese il controllo dello stato con la forza ma, vedendo le immagini del suo funerale e la popolazione sinceramente addolorata per la sua morte, sembrerebbe quasi che egli sia stato un uomo amato dai venezuelani. Ricercando infatti qualche informazione su di lui ho potuto constatare che durante il suo governo il Venezuela ha conosciuto un periodo di grande prosperità e crescita, rimanendo sempre chiuso alle multinazionali e nazionalizzando parte delle proprie industrie. Non sempre quindi un tiranno è una figura apertamente negativa e meritevole della morte. A chi spetta dunque il diritto di scegliere chi è buono e chi è cattivo? Purtroppo il popolo, suscettibile e facilmente controllabile, spesso non è in grado di rispondere in nome del suo reale bene. A questa domanda non saprei dare facilmente una risposta. Ciò di cui però sono abbastanza sicuro è la generale indolenza dell'uomo di qualsiasi tempo nel cercare il proprio bene, problema già evidenziato da Etienne de La Boetie nel "Discorso sulla servitù volontaria". Quest'ultimo si chiedeva come mai l'essere umano, vedendosi privare della propria libertà, non si indignasse e non cercasse di riprendersi ciò che è suo di diritto, ma al contrario accettasse questa prevaricazione e i conseguenti soprusi senza indignarsi. Probabilmente l'uomo si è assuefatto a tal punto alla sottomissione da non essere più in grado di distinguere l'asservimento dalla libertà. E infatti non passa giorno che in Italia o all'estero alcuni politici/governanti non diano evidentemente segno della disparità che intercorre tra noi e loro, ma la popolazione, a parte alcune rare eccezioni, lascia correre o trova dei capri espiatori sui quali riversare la propria rabbia. E' deludente vedere quanto l'uomo, pur essendosi evoluto e avendo migliorato la propria cultura e capacità tecnologica, non sia rimasto altro che un animale facilmente addomesticabile, a cui basta dare di tanto in tanto "Panem et circenses" per mantenerlo tranquillo e ubbidiente. L'unica speranza che al momento posso trovare è che un giorno diventiamo finalmente coscienti del cappio che si stringe attorno al nostro collo, così da comprendere quanto male abbiamo subito e quanto bene si possa vivere se governati da un potere equo e libero da interessi personali.