Tema di Italiano e Storia di Angelavirginia Consolini
Decido di svolgere la traccia numero 1 non perché sia la più facile, non perché sia la più “conveniente”, ma perché ciò che questa esperienza mi ha dato è di dimensioni straordinarie; solitamente oso definirmi un po’ “smemorata”, ma quel che ho visto, quel che ho sentito, quel che mi è stato raccontato è tutto indelebile e ben saldo nella mia mente.
Mercoledì 9 Gennaio 2013, Ernst Grube, teatro Ariosto, più di mille persone:
questo uomo di ormai ottantadue anni, abitante a Monaco in Germania, è venuto a raccontarci la sua storia di ragazzo “mezzo ebreo” nel periodo della seconda guerra mondiale, della sua esperienza di quando fu deportato e soprattutto dell’amore per la famiglia di suo padre che era un tedesco ”ariano”. Ricordo gli occhi del signor Grube che trasmettevano una tristezza così amara che le sue parole pronunciate in tedesco arrivarono dritte al cuore; la voce un po’ fioca ricordava la sofferenza vissuta, il delirio della madre nella ricerca vana delle sue sorelle, la battaglia del padre contro le SS nel decidere di non separarsi dalla moglie e dai figli, ma alla fine anche il breve sorriso nel momento in cui, finito tutto, la famiglia poté di nuovo riunirsi.
Martedì 22 Gennaio 2013, Hanka Folman Raban, teatro Cavallerizza:
cosa ci si potrebbe aspettare da una signora ebrea ormai di ottantanove anni catturata nel 1942 come prigioniera politica e sopravvissuta a tutto ciò? Di certo non una come lei! La cosa che mi ha sorpreso di più è stata sentire e vedere la sua voglia di fare, la sua voglia di vivere e soprattutto la carica nella determinazione di essere proprio se stessa. A diciassette anni prese parte alla resistenza ebraica, divenne una staffetta di collegamento con il ghetto di Cracovia e nel 1942 venne catturata e spedita ad Auschwitz. Oggi vive in Israele, dove è stata tra i fondatori del primo museo della Shoah. Una donna da cui sicuramente prendere esempio.
L’incontro con questi due testimoni è stato veramente profondo: il mettere a nudo la propria esperienza così dura e colma di crudeltà, penso, non sia stato facile per nessuno. Non so se queste persone abbiano fatto ritorno nei posti della tortura come “turisti”, come dice J.E. Young, in tempi successivi; non riesco ad immaginare quale e quanta forza d’animo ci voglia per ritornare là, in quei luoghi che hanno cambiato la vita a molti, e troncata brutalmente a molti di più ancora .
27 Febbraio 2013, visita a Terezin:
la fortezza piccola era un vero e proprio carcere per prigionieri soprattutto politici; abbiamo visto l’ufficio dell’accettazione e della registrazione dei prigionieri, abbiamo visto le “camere da letto”, abbiamo visto i bagni usati solo per l’ispezione della Croce Rossa nel 1944, abbiamo visto le celle di isolamento, ma ciò che mi ha colpito di più sono stati i letti a castello numerati, quelle strutture di legno duro, grandi, ma certamente troppo piccole per le tante persone che ospitavano. E poi il freddo: le camere erano fredde, i cortili erano freddi, le pareti erano fredde, tutto era freddo; non riesco ad immaginare come potessero quei poveri prigionieri vivere in pigiama!
La fortezza grande: silenzio.
Silenzio per quelle persone che sono salite su quelle orribile sbarre di ferro che portavano alla non più vita.
Morte, in troppi sono stati cremati.
Indignazione per coloro che non ebbero rispetto per niente e per nessuno e buttarono nel fiume la polvere di tanti innocenti.
Ammirazione verso coloro che, pur essendo nella disgrazia totale all’intero del ghetto, sono riusciti comunque a disegnare, a scrivere, a recitare, a suonare, cercando di “sopravvivere” nel migliore dei modi, e , ogni tanto, di strappare un sorriso sul volto di qualcuno.
Rispetto per tutti quelli che hanno combattuto la loro battaglia.
Vita, la cosa più importante al mondo.
Ho deciso di non descrivere Terezin come semplice fortezza militare e la sua storia, quello si può apprendere leggendo un libro di storia, ho voluto provare ad esprimere i tanti pensieri che quel luogo mi ha trasmesso.
2 Marzo 2013, commemorazione del viaggio nel “paese” di Lidice:
questa è stata per me la dimostrazione di quanto sia infinita e senza limiti la malvagità umana. Quando impulsi primitivi e barbari oltrepassano il limite della ragione, ecco che niente di umano può accadere; Lidice ne è l’esempio.
“L’uomo è davvero così potente da decidere di distruggere quello che altri uomini hanno costruito? Qual è la differenza tra il distruttore e il distrutto? Non sono entrambi uomini? Ma soprattutto, qual è la colpa del distrutto?” Questi sono solo pochi degli interrogativi che hanno pervaso la mia mente nel momento in cui, affacciata dal quel balcone dello spiazzo aperto sul vuoto, ho visto esattamente il niente. Young parla di “ricordo di un’assenza”; è proprio questo niente, questa assenza che ti fa venire i brividi, perché tu, persona che visiti questi luoghi, sai bene che prima il nulla non esisteva; quei bambini, che ora hanno il volto di pietra di un gruppo scultoreo, una volta giocavano per le strade, sai che le madri di famiglia erano in casa forse a cucire qualche toppa, forse a cucinare la torta che piaceva tanto ai propri cari.
Anche se non sappiamo con precisione ciò che prima c’era, lo possiamo tuttavia immaginare, e questo pensare alle anime di vittime innocenti, a case fantasma che ora non esistono più, ti scioglie il cuore. Credo che per far sì che l’uomo non compia più azioni simili, tutti noi, uomini occidentali, orientali, meridionali, settentrionali, dobbiamo ricordare tutto questo, soprattutto dopo un’esperienza come quella di questo viaggio che ci ha permesso di toccare con mano il dolore di migliaia di anime vaganti, ora anche nei nostri cuori.
Questo che ho descritto, per me, è stato il vero viaggio della memoria: non è stata solo una visita turistica al museo, non è stata un’attrazione, come dice J.E. Young; anche la visita a statue e monumenti non è semplicemente un motivo di marketing turistico, i luoghi riescono a parlarti, le loro parole però non sono composte da lettere vocali e consonanti, ma da emozioni e sentimento; Peter Weiss dice che solo colui che fa esperienza può comprendere. Ritengo che questa affermazione sia in parte vera, perché solo guardando i binari di Terezin o la vallata di Lidice ho compreso cosa veramente sia successo. Molti ne parlano, molti ne scrivono, ma non è per niente la stessa cosa; l’autore di drammi storici ha ragione: bisogna viverle direttamente certe emozioni per poterle capire.