Solo una parola: Grazie. Perché avete dato la possibilità a noi studenti di partecipare attivamente alla storia. Terezin e Lidice sono state due città-stimolo per tutti, studenti e professori.
La visita a Terezin mi ha lasciato un grande interrogativo. Un insegnamento di vita, un campanello d’allarme. Ancora mi chiedo come sia stato possibile nascondere le atrocità del presente manipolando a tal punto l’informazione. Una “pensata” geniale quanto spaventosa, un progetto ambizioso e riuscito. Un ennesimo simbolo dell’efficienza e dell’organizzazione nazista. Ma la mia perplessità va oltre. Penso a quelle persone che ci sono passate, che hanno vissuto quell’esperienza e che probabilmente durante la permanenza nel campo di concentramento si sono chieste quale fosse la loro colpa. Non può essere sfortuna o casualità.
La seconda guerra mondiale a noi giovani sembra qualcosa di lontano, ormai scontata. Un errore storico come un altro. Se non fosse che le dinamiche di quegli anni non sono poi così estranee ai nostri giorni. Ci sono ancora testimoni pronti a raccontarci le loro storie di vita, che affidano a noi le loro parole perché possano rimanere nel futuro. Ci affidano la loro sofferenza perché resti viva. Perché il passato non si cambia, ma il futuro ancora deve essere scritto. Terezin ci ha insegnato ad andare oltre all’apparenza. A leggere con criticità il nostro presente, a scrivere con attenzione la nostra storia.
Lidice invece mi colpito per la sua dissonanza melodica. La sua vallata spianata interamente ricoperta di neve. Il candore, l’uniformità e la dolcezza di quel luogo sono qualcosa che ancora porto nel cuore. Un’immagine che oggi mi accompagna delicatamente, probabilmente indelebile nella memoria. Silenzio e staticità. Voce impercettibile. Squillante presenza. Di quel Paese non è rimasto che il ricordo, la memoria di chi è sopravvissuto, l’orrore di chi ha visto e oggi può raccontare.