“Il Führer regala una città agli ebrei”: Terezin, concepita come fortezza asburgica, penitenziario per prigionieri politici e dunque simbolo di un potere che non ammette contraddizioni o contestazioni, è stata trasformata dai nazisti nell’universo della menzogna, dove la violenza concentrazionaria si è ammantata dei panni della tutela, dell’intento apparente di preservare, in una sintesi perversa di propaganda e di logica di distruzione. A Terezin si è presi dall’angoscia del vuoto: le strade rettilinee che attraversano la piccola città, le caserme, i cortili circondati dalle mura delle fortezze, che dovevano costituire un’espressione fisica dell’efficienza e della razionalità del “nuovo ordine” nazista, e che possiamo immaginare risuonare dei passi di marcia delle truppe, dei richiami gridati, degli spari, dello sferragliare dei treni che portavano ogni giorno un nuovo carico di disperazione, dello stridore delle ruote dei carri che trasportavano i morti, o invece, nei momenti dell’inganno dispiegato, di cerimonie e rappresentazioni auto celebrative, sono ora deserte. Ma varcando il portone di alcuni di questi luoghi di morte, la vecchia scuola o la caserma di Magdeburgo, è possibile trovare altre tracce, riuscire a sentire di nuovo altre voci, che la brutalità e l’ottusità non sono riuscite ad uccidere per sempre. Sono i disegni dei bambini di Terezin, che rappresentano l’interno delle baracche in cui vivono ma anche i sogni della vita a cui avrebbero avuto diritto, sono gli spartiti musicali delle opere nate a Terezin, le cronache, in certi casi persino le satire: tutto quello attraverso cui è stato possibile non cedere fin in fondo all’orrore che pure aveva preso allora il sopravvento. A quella violenza, a quell’orrore, non è stata lasciata l’ultima parola. Ilse Weber, poetessa deportata a Terezin ed assassinata ad Auschwitz nel 1944, scrive:
“In questo luogo siamo condannati
alla più grande disperazione e vergogna,
ci tolsero gli strumenti musicali
come contrabbando pericoloso.
Sopportiamo la fame e la privazione della libertà,
e tutto ciò con cui ci tormentano,
ma dalla polvere si rialzano sempre
le anime calpestate”.