Al termine della giornata di oggi mi sono fermata a riflettere su ciò che abbiamo visto a Lidice: il nulla. L’incapacità di guardare avanti, di immaginarsi un futuro, tornando a casa e vedendo che non è rimasto nulla.
Lidice era un paese appena fuori Praga, che all’apparenza non aveva nulla di diverso dagli altri paesi dove si lavorava nelle miniere o nei campi. Perché parlo al passato? Perché oggi di Lidice non è rimasto nulla, solo un albero e le donne sopravvissute al campo di Ravensbruck.
La notte del 10 giugno 1942 Adolf Hitler emana l’ordine di radere al suolo Lidice, perché due persone originarie del paese sono ritenuti responsabili dell’attentato ad Heydrich. Si trattava di un errore, di un malinteso, che però i tedeschi della Gestapo non ebbero il coraggio di ammettere al Fuhrer. Così misero in atto la decisione di distruggere il paese, uccidere tutti gli uomini, trasferire le donne, separate dai loro figli, a Ravensbruck e, dopo aver selezionato i bambini pronti per la germanizzazione, gli atri sarebbero stati gasati immediatamente.
Le donne, come Miloslava Kalibovà, hanno vissuto nella sofferenza nel campo di Ravensbruck, malnutrite, circondate dai pidocchi e dalle malattie, alcune venivano utilizzate anche come cavie per i medici, tutto senza sapere dove fossero i loro bambini e i loro mariti. Solo alla fine della guerra hanno scoperto di aver vissuto nella speranza di riabbracciare i propri figli inutilmente, poiché sono stati tutti gasati quasi subito dopo la strage del 10 giugno. C’era solo una speranza nei bambini che sono stati adottati dalle famiglie tedesche, quelli degni della germanizzazione, che ormai avevano completamente dimenticato i loro nomi, la loro lingua e, i più piccoli, il loro passato.
La notte del 10 giugno 1942 sono state cancellate le tracce di un paese che non aveva colpe, sono state stroncate le vite di 82 bambini che, con i loro visi scolpiti nel monumento che veglia sulla collina, ci ricordano che questo è un evento particolarmente simbolico. E’ come se i loro volti volessero rappresentare tutti i bambini maltrattati e uccisi nei campi, ma c’è solo uno sguardo che può far comprendere la sofferenza degli abitanti di Lidice: quello di una madre che non sa se potrà riabbracciare il proprio figlio.
Miloslava Kalibovà, nel ’42 quasi ventenne, ha condiviso con noi la sua terribile esperienza della distruzione di Lidice e del campo di Ravensbruck.