Ogni giorno ci guardiamo attorno. La civiltà si è evoluta nella tranquillità, oserei dire ignorando un conflitto così lontano da noi che quasi lo trattiamo come fosse uno show.
Una volta non era così, la parola conflitto portava paura. Ma forse era stato fatto apposta per distogliere l’attenzione da un crimine di egual gravità. Sono Kim, uno studente di 5° dell’istituto Motti. Sono stati giorni intensi. I posti chiave che abbiamo visitati sono Terezin, una città-fortezza usata come centro di stoccaggio per gli ebrei, una distopia per un popolo non desiderato, l’anticamera dell’inferno che hanno addirittura cercato di celare davanti a tutti, dietro ad una bugia riuscita.
Lidice, una città di 489 abitanti che, dopo l’assassinio di Heydrich, ha visto tutti i propri maschi uccisi, le donne e i bambini portati nei campi di concentramento tranne pochi fortunati per poi vedere, infine, ogni singola casa distrutta come rappresaglia. Una rappresaglia alla ricerca di un colpevole fantasma che non si trovava lì: ma per dimostrare la propria forza andava comunque creato, al costo di sfruttare un malinteso. Infine il centro di eutanasia di Sonnenstein, l’esordio di un massacro di silenziose vittime che è rimasto nascosto e ignorato fino alla fine del conflitto, quando era troppo tardi.
Questo viaggio mi ha fatto capire che noi non siamo semplicemente studenti in gita, né tantomeno dei turisti venuti a visitare un posto che normalmente non avremmo mai visto. No, noi siamo dei messaggeri, una volta appreso ciò che va raccontato, si dovrebbe assicurarsi di consegnare il messaggio al destinatario: a tutti. Questo orrore non deve essere dimenticato e, assolutamente, non deve più ripetersi. Ascoltate, non dimenticate, raccontate. Parlate per chi non può più parlare, ricordate per chi non ne ha più la forza.