Oggi più che mai si ergono davanti ai miei occhi le colonne d'Ercole del pensiero, invalicabili e inviolabili. Solo ora capisco che non possiamo immaginare ciò che milioni di persone hanno vissuto.
L'immaginazione non colma lo scarto che persiste tra noi e la realtà, tra noi e il passato... si esaurisce inesorabilmente. Di fronte a questi limiti, così difficili da accettare, mi sono chiesta come dovessi comportarmi, cosa potessi ricavare da un'esperienza come la visita ad Auschwitz-Birkenau.
“Soltanto il bene è radicale”, come ci ha insegnato Hannah Arendt, eppure la superficialità del male non si fa penetrare dal nostro pensiero che si scherma e si difende. La sofferenza e i suoi effetti erano davanti a noi, sotto di noi e allo stesso tempo così violentemente inafferrabili.
Ebbene, laddove non riuscivo a comprendere, mi sono lasciata suggestionare dalle intense sensazioni che il campo evoca. La neve scende instancabilmente, neve che un tempo si tingeva di nero e si mescolava alle vite prima disintegrate e poi dissolte.
Come si può sopportare una pioggia di morte che non si placa mai? Anche quando il sole è sceso, la notte viene illuminata dalle scintille che sprigionano dolore. Così viene negato l'oblio e la possibilità di dimenticare l'orrore quotidiano. I deportati erano costretti a respirare la morte, a calpestarla. L'universo concentrazionario è popolato da corpi privi di anima e carne.
Il lago nero, colmo di ceneri, superficie che non riflette, voragine che assorbe.
Le baracche, la prigione, i blocchi, gli ospedali all'interno del campo: in ogni cosa c'è una logica, ma nessuna ha Senso.
Il filo spinato è una presenza ingombrante ma, nei casi estremi, liberatoria.
Il bosco di betulle nei pressi dei crematori, così avvolgente e ingannevole, ospitava i condannati a morte prima di entrare nelle camere a gas.
Io non ho potuto rivivere la fame che consuma, il freddo, l'appello, la perdita degli affetti, gli esperimenti, le punizioni: ho cercato però di comprendere la singolarità di quel luogo che va oltre ogni previsione.
Auschwitz mi si è svelato nei dettagli, nelle sfumature, nella violenza dei colori, nella delicatezza dei suoni. Auschwitz mi ha posto nuove domande: ora è il mio punto di partenza.