La piazza di Tarnòw è grande, è bella, pittoresca, i tetti rossi, gli edifici gialli e bianchi, il selciato e le strade lastricati di pietre grigie. Poco più di settant'anni fa, per quella stessa piazza, scorrevano fiumi rossi. Se quella piazza potesse parlare, racconterebbe di migliaia di uomini e donne e bambini costretti in ginocchio per ore, racconterebbe di corpi ammassati e spari e sangue. Osservo ora quella pacifica piazza, provo rappresentarmi quella scena che la nostra guida ha descritto, provo ad immaginare che cosa quelle persone provassero, e rabbrividisco. La verità è che qualunque cosa io cerchi di evocare, non potrò mai avvicinarmi a quello che realmente è stato, e non potrò mai identificarmi abbastanza per arrivare a capire lo stato d'animo delle vittime di quel giorno. I numeri delle persone uccise sono agghiaccianti: duemila, tremila, o forse più. E il sangue scorreva a fiumi.
La domanda che mi tormenta però è la più semplice: perché? Perché? E perché? Tutto ciò che ho imparato a scuola non mi aiuta a rispondere a questo interrogativo.
La stessa domanda si è ripetuta durante la visita nel bosco di Zbylitowska Gora.
In quel luogo, ottocento bambini degli orfanotrofi della zona furono uccisi in modo brutale. Bastoni, attrezzi agricoli e calci di fucili furono le armi usate per commettere questi omicidi. Ovviamente i nazisti non consideravano gli ebrei degni di una morte rapida, e non si poteva certamente "sprecare" un proiettile per loro. Vedo le recinzioni, di metallo, e di legno blu, vedo le pietre con le targhe commemorative, e provo ancora ad immaginare. Immagino i bambini, colpiti in testa, sulla schiena, immagino i loro corpicini gettati nelle fosse comuni, gli occhi chiusi, o forse aperti nel rivolgere un ultimo sguardo al cielo.