REGGIO EMILIA - BERLINO  2014

Elaborazione - le proposte agli studenti

Tema di Restani, Liceo Ariosto di Reggio Emilia

Viaggio della memoria 2013/2014: Berlino

Considero il viaggio della memoria a Berlino un'esperienza molto importante per la mia crescita personale. Infatti siamo soliti studiare l'Olocausto sui libri di scuola, in alcuni casi privilegiati ascoltare le testimonianze dei sopravvissuti e vedere le foto dei detenuti all'interno dei lager. Ma forse ci sembra qualcosa di molto lontano da noi e dalla nostra realtà, poiché è difficile comprendere una situazione così estrema e, per noi, quasi “irreale”. Credo che si possa prendere maggior coscienza di questo passato solo osservandone le tracce con i propri occhi e trovandosi fisicamente in quei luoghi difficili persino da immaginare. Luoghi come il campo di concentramento di Sachsenhausen, situato a 35 chilometri a nord di Berlino, uno dei più grandi e importanti della Germania in cui morirono circa 30.000 prigionieri. Venne progettato dagli architetti delle SS a forma di triangolo equilatero in modo da avere maggior controllo e visibilità in tutto il lager. I prigionieri furono inizialmente oppositori politici, poi vennero inseriti gruppi dichiarati razzialmente e biologicamente inferiori dai nazisti che arrivarono a deportarvi persone di circa 40 nazionalità diverse. Migliaia morirono di fame, malattie, lavoro forzato oppure divennero vittime di esecuzioni o di esperimenti medici. La mattina della nostra visita il campo è immerso nel freddo e nella nebbia. All'ingresso siamo accolti dalla lunga strada che costeggia il lato occidentale del campo e che conduce al cancello del lager. Il percorso è tetro e silenzioso come il paesaggio circostante, solo qualche fiore spunta timido tra il cemento e il filo spinato. Al termine della strada sull'ala destra si trova ciò che i detenuti chiamavano “mostro verde”, ovvero l'edificio che ospitava le attività culturali delle SS.

I prigionieri impiegati in questo luogo avevano maggiori possibilità di sopravvivere. Di fronte a questo edificio si estende una piccola piazza da cui si accede a un parco che i nazisti crearono come loro spazio ludico. In netto contrasto con questo verde rigoglioso si stagliano all'orizzonte la torre A, punto di comando SS, e il cancello recante la scritta “Arbeit macht frei”. Al di là di questa barriera metallica lo sguardo si perde su una distesa di terra ed erba che sembra non finire mai, fino a quando non si scorgono gli alti muri che man mano si restringono fino a congiungersi nel vertice del triangolo. Davanti alla torre A si trova la piazza dell'appello. Ogni mattina i detenuti si radunavano in questo punto, stando fermi in piedi, talvolta per ore, con nient'altro che la divisa a righe a ripararli dal gelo. Mentre la guida parla mi guardo intorno e penso di aver visto raramente una simile desolazione. Mentre ci dirigiamo verso una delle poche baracche rimaste mi immagino quelle persone che meno di un secolo fa percorrevano la stessa strada, imprimevano i propri passi sulla terra che io ora calpesto. E nel vedere queste ombre che riemergono dal passato provo un'emozione nuova, come se quelle vite fossero ancora qui. La baracca che visitiamo contiene un bagno comune, una sala per i pasti con grandi tavoli di legno e un dormitorio. Non c'è spazio per l'individuo, nei campi di concentramento si è solo numeri. A fianco di questa baracca si trova una pista a forma di ferro di cavallo su cui dei prigionieri correvano fino a 40 chilometri al giorno per testare le scarpe prodotte dai nazisti e poco più in là le cucine nei cui sotterranei si trovano disegni bellissimi. Vegetali che danzano, fanno il bagno e giocano, paesaggi di mare e cieli azzurri che richiamano la libertà perduta. In ultimo visitiamo i forni crematori e la camera a gas di cui sono rimaste solo le fondamenta. Come ultimo gesto ciascuno di noi pone un fiore bianco dove preferisce. Io lo lascio a fianco della pista su cui correvano i detenuti, uno dei luoghi che per me rappresenta maggiormente quella crudeltà che spezzò così tante vite. Non so nemmeno esprimere a pieno tutto ciò che ho provato in quel luogo ma credo che sia un'esperienza necessaria nella vita di ognuno, per non dimenticare.