REGGIO EMILIA - BERLINO  2014

Elaborazione - le proposte agli studenti

Tema di Dellisanti, Liceo Ariosto di Reggio Emilia

Freddo, nebbia, vuoto. Sono le principali percezioni di cui sono stato preda non appena ho oltrepassato il cancello del campo di concentramento di Sachsenhausen, dove imponenti e spaventose comparivano le parole Arbeit macht frei. Sembrava quasi di scrutare l'orizzonte per quanto era esteso il campo, un orizzonte grigio e tetro, dall'aria pregna di vite calpestate, di identità perse, di uomini annientati. Sembrava non avere fine. Alla mia destra un reticolato di filo spinato, giusto per far riemergere alla mente il ricordo di come i detenuti vivessero alla maniera delle bestie più infime del mondo; metallici e ritorti, quei fili costituivano il limbo tra vita e morte, tra salvezza e condanna eterna. Poco più in là sorgevano alte mura, ancora intatte, quasi a segnare l'isolamento dei prigionieri rispetto a tutta la realtà esterna. Alla mia sinistra baracche in legno, le poche sopravvissute all'inarrestabile avanzata del tempo. Mi sembrava di essere stato catapultato in uno di quei film dove si cerca di rappresentare al meglio l'ambiente in cui allora io mi trovavo. Ho detto si cerca perché solo in quel momento mi sono reso conto di quanto i film non si avvicinassero neanche lontanamente a quello che i miei occhi stavano minutamente osservando. Un ambiente desolato, spoglio, lugubre, carico di tensione, di silenzio, quasi atemporale. Sembrava di poter sentire ancora da una parte il dolore, il terrore, la distruzione interiore dei deportati, dall'altra le atrocità, le disumanità, la ferocia dei loro aguzzini. Ho mosso qualche passo. Stavo percorrendo le stesse strade che loro avevano percorso. Stavo rivivendo col pensiero gli eventi terribili accaduti in quella distesa sconfinata: l'appello al mattino, il lavoro estenuante, la corsa per testare le scarpe che sarebbero state indossate da coloro che avevano interrotto bruscamente il corso della loro vita, da coloro che la avevano presa con la forza e ridotta a meno che niente, stavo rivivendo il pasto insufficiente e la notte tormentata dagli incubi. Ricordo di aver pensato per un singolo brevissimo momento che tutto ciò non poteva essere vero, che l'essere umano non può essere arrivato a tanto. E invece lo era. Ho quasi percepito tutte le vite frantumate delle tante vittime risalire dal terreno, e ricomporsi. Chiedevano di essere ascoltate. E io l'ho fatto. Credo di essere un po' cresciuto in quel preciso istante. Sì, ne sono assolutamente certo. Ricordo ancora la sensazione: freddo, nebbia, vuoto.