Il viaggio

Il profumo della morte

01.03.2013 |
Beatrice Ferrari, 5E Istituto Zanelli Reggio Emilia

Oggi,1 Marzo 2013, la mia classe ed io abbiamo visitato il campo di Terezin, costituito dalla fortezza grande e dalla fortezza piccola.

Arrivati, la prima impressione che abbiamo avuto è stata di desolazione, di vuoto e di morte. Si poteva sentire, già da lontano, l'odore e la sensazione che il forno crematorio della fortezza grande funzionasse e bruciasse carne umana. 

I campi incolti, le mura alte ed imponenti, i colori forti ed opachi allo stesso tempo, ci hanno dato la sensazione concreta che lì la morte fosse un fattore predominante, predestinato a ciò che effettivamente venne fatto. 

Prima abbiamo visitato la fortezza piccola, destinata ai carcerati ed, successivamente, ai prigionieri di guerra; solo entrando dentro alla fortezza, abbiamo provato un senso di mancanza d'aria, di chiuso e, visitando le celle, abbiamo trovato conferma delle nostre impressioni. 

Attraversare il lungo cunicolo sotterraneo ci ha caricati di adrenalina e di tensione, ciò che non volevano far provare i tedeschi per non far capire ai detenuti che la loro fine era giunta. Facendo il giro al contrario, abbiamo incontrato dapprima il tunnel, poi il patibolo ed infine l'ingresso da cui entravano: abbiamo, comunque, vissuto momenti di tensione e di sconforto per quanto accadeva a chi era imprigionato.

Poi siamo passati alla fortezza grande e non ci siamo nemmeno accorti che eravamo dentro. La sensazione era come se fosse una sorte di città deserta, priva di vita. E abbiamo avvertito l'odore di bruciato. 

Abbiamo visitato la ex-scuola dei bambini e abbiamo visto i nomi di coloro che sono morti ed i disegni che facevano per ricordare la vita che avevano vissuto prima di essere relegati nel ghetto e per dimostrare alle generazioni future cosa dovevano subire in un luogo dove vivevano 60000 persone in 4 km quadrati. Uno spazio così limitato tanto da destar rabbia e amarezza. 

I disegni che facevano esprimono con chiarezza come vivevano quei momenti di reclusione, lontani dai genitori e dalla loro infanzia. 

Abbiamo visto come vivevano le donne, in stanze piccole dove le malattie pullulavano e dove morivano, lasciando solo le poche cose che tenevano strette al petto con forza e grinta per riuscire a sopravvivere giorno dopo giorno.

Infine, dopo aver girato alcuni altri luoghi, siamo arrivati al forno crematorio ed ancora la sensazione di bruciato ci ha colpiti; l'impatto, però, ad entrare dentro in quell'edificio, ha, almeno, colpito me. 

Entrando, abbiamo visto la sala dell'autopsia, con alcune barelle dove sono stati posti alcuni garofani bianchi in ricordo ed in memoria. 

E l'impressione dei forni stessi, dove venivano bruciati i corpi delle persone morte naturalmente, mi ha lasciato un senso di amarezza e un nodo in gola che mi è rimasto fino alla fine della visita. 

Abbiamo chiuso, però, con una speranza per il futuro: quel piccolo figlio dell'acero piantato dai bambini morti ci lascia un tangente messaggio di possibilità che tutto ciò non accada più e che, comunque, il ricordo non sia necessariamente legato alla sola morte ma anche ai sorrisi ed ai disegni dei bambini che hanno vissuto in quei luoghi senza sapere come era il mondo esterno e che sono riusciti a sopravvivere ed a testimoniare in prima persona quei momenti di mancata spensieratezza. 

Non si può solo pensare al peggio perchè, seppur questo sia stato un Viaggio della Memoria vissuto minuto dopo minuto con attenzione e partecipazione il dolore che hanno provato, c'è la speranza che le nuove generazioni imparino dagli errori del passato e non compiano più atrocità così disumane.