REGGIO EMILIA - TEREZIN  2016

Copertina di "HHhH"

Commento al libro “HHhH”

di Valentina Lusuardi 4F del Liceo Ariosto-Spallanzani

Domenica scorsa, in data 14 febbraio, i nostri calendari segnavano l’anniversario della morte dei Santi Cecilio e Metodio, considerati martiri non solo dai cattolici, ma anche dagli ortodossi. Girando per la città di Praga è praticamente impossibile non imbattersi nella cattedrale a loro dedicata, resa affascinante non solo dalla sua chiara struttura architettonica che tende a lasciare l’osservatore senza fiato, ma anche dall’importanza sia religiosa che storica che ricopre nel panorama della fiabesca capitale.
Infatti la gente, al giorno d’oggi, tende a dimenticare un’importante fetta di storia legata agli orrori e ai massacri commessi dai nazisti, quella fetta di storia che interessa molti paesi, come appunto l’ex Cecoslovacchia; ed è proprio in quella chiesa, nella sua cripta, che i due paracadutisti, il ceco Josef Gabcik e lo slovacco Jan Kubis, personaggi chiave dell’Operazione Antropoide, trovarono rifugio, per trascorrere le loro ultime ore prima di essere scovati e uccisi.
Scopo di Laurent Binet è quindi aprire gli occhi al lettore, fornirgli questo materiale su cui riflettere, e narrare gli eventi legati all’operazione partendo dai primi anni di vita dell’uomo che proprio protagonista del libro non può dirsi, pur essendo il primo a venir presentato nella narrazione: Heydrich, la bestia bionda, capo dell’ufficio centrale per la sicurezza del Reich, è l’obiettivo della missione, l’uomo che i veri protagonisti della storia, i paracadutisti, hanno il compito di uccidere. L’autore spiega questo suo ritardo nel far apparire le due figure più importanti in scena, quasi a metà libro, come un intento a renderle più consistenti: è l’attesa ad aumentarne l’importanza, la loro breve ma fondamentale presenza a cambiare le sorti della capitale e dei suoi abitanti.
Fin dalle prime pagine si può notare come la storia sia ricca di elementi tipici di un qualsiasi romanzo di guerra o semplicemente di azione: un sanguinoso cattivo, un manipolo di eroi, un infido traditore che vende i paracadutisti al Reich per un paio di milioni, passioni, guerra, morte, l’operazione che solo alla fine e per puro caso ha la conclusione desiderata, la suspence che ti cattura nelle ultime pagine del libro e ti lascia senza respiro con il suo ritmo incalzante di eventi. Elementi che estraniano la narrazione, che la allontanano dallo scopo principale che ha, quello di narrare fatti reali, accaduti veramente e nemmeno in anni troppo lontano dai nostri. Ed è per questo che Binet si preoccupa di far continui riferimenti, interrompendosi qua e là nel raccontare, alle fonti dalle quali attinge per ricostruire gli eventi e che ha passato la vita a cercare. Non esagera mai, non infiocchetta e abbellisce, o peggio ancora sporca e appesantisce, una storia che risulta essere già di sui piena di particolari, piena di elementi fondamentali per capire appieno la figura di Heydrich, il macchinoso e spietato “cervello di Himler”.
Sempre parlando di questa attenzione dello scrittore per i dettagli, verso la fine del libro si fa riferimento alle rappresaglie fatte dai nazisti subito dopo l’attentato alla limousine di Heydrich, che come scopo avevano vendicarsi e fare in modo che il popolo capisse chi davvero fosse a comandare. Tra le numerose viene posta l’attenzione del lettore sulla città di Lidice, luogo dove nessuna forma di pietà né di umanitarismo sembrò guidare i nazisti nello sterminio dei suoi abitanti. Il panorama che ci viene presentato è quello di un paesino tranquillo, lontano da qualsiasi guerra e ignaro di ciò che stava succedendo a Praga in quegli anni, che viene a un tratto invaso e completamente raso al suolo.
La crudità, le poche parole con le quali l’autore cita l’evento ci fanno chiaramente percepire lo sgomento provato a Praga nei confronti della strage, sentimento che infatti spingerà un aiutante dei paracadutisti, che si erano rinchiusi nella cripta della chiesa dopo l’attentato per non essere presi, a svelare il loro nascondiglio e a porre fine alla loro resistenza. Resistenza sì, perché i due lotteranno fino all’ultimo per rimanere in vita, come del resto per portare a termine quell’operazione che si rivela difficile e piena di intoppi di ogni genere fin dall’inizio.
E’ strano come una piccola cittadina come ancora quella di Lidice porti in sé così tanta sofferenza, così tanta responsabilità di dover ricordare ciò che è successo; ricordare perché non si commettano gli stessi sbagli, perché non si precipiti nuovamente nell’ignoranza di saper uccidere, sì, ma di non saper dare una vera e sensata ragione all’atto stesso.
Come scrive infatti l’autore, e come riesce poi a trasformare in realtà e a farci vivere i fatti ancora e ancora per mezzo delle sue parole “affinché qualcosa, qualsiasi cosa, resti nella memoria, bisogna anzitutto trasformarla in letteratura”.