REGGIO EMILIA - TEREZIN  2016

REGGIO EMILIA - TEREZIN  2016

Un piatto di cappelletti fumanti

28.02.2016 |
Alessandro Torelli, 4D ITC Istituto Russell Guastalla

Durante questo viaggio abbiamo avuto modo di vivere e comprendere il vero significato di ciò che è scritto nei libri. La storia che stiamo vivendo adesso serve a dar voce a tutti coloro che non hanno potuto urlare, a tutti coloro che, per questione di "razza", non sono stati liberi. Abbiamo raccolto le emozioni e le sensazioni che più ci hanno colpito e che più abbiamo trovato significative per trasmettere un input a chi ci ascolta. Ovviamente le emozioni provate non possono essere espresse in parole e per questo motivo invito a riflettere chi ha avuto la possibilità di partecipare a questo viaggio.
Ci hanno detto che un tempo nel ghetto di Terezin vivevano uomini e donne che conducevano esistenze ai limiti dell'impossibile, stipati in 600 in stanzoni, costretti a razionare il loro carbone per riscaldarsi per più tempo possibile, costretti a fare i loro bisogni in latrine improvvisate, a mangiare minestre dal sapore di acqua sporca, eppure quella la chiamavano vita. Sognavano un mondo diverso o forse solo un futuro migliore. Forse c'era chi fra quei ragazzi sognava l'abbraccio caldo di un genitore al ritorno dal viaggio e un piatto di cappelletti fumanti, ma niente di tutto questo ha scaldato i loro corpi e i loro cuori. Levi ci ha imposto la memoria con un'apostrofe che pende su di noi, "O vi si sfasci la casa, la malattia vi impedisca, i vostri nati torcano il viso da voi". Non credo volesse spaventarci ma rendere cosciente soprattutto la mia generazione di ciò che è stato. Avere la fortuna di sentire e di vedere ancora quella gente che ha vissuto le peggiori atrocità per un gioco di potere e che ci urla di vivere consapevoli che la vita è un dono meraviglioso e che merita di essere vissuta. I nazisti cancellavano il passato dei deportati rubando, strappando, insozzando tutto quello che di più caro un uomo aveva... il suo passato. Non fare il loro gioco!
Se hanno voluto spegnere la cultura per rendere la gente più sottomessa, chiediti oggi il perché e ringrazia di essere fortunato!
In conclusione vorremmo farvi riflettere sul ruolo avuto dalla cultura durante il nazismo. Ebbene, per i deportati la parola CULTURA significava libertà tant'è che nei momenti di sconforto vedevano in essa l'unica soluzione per salvarsi.
Non vorrei essere retorico nel dire che non bisogna sottovalutare ciò che accadde durante il regime nazista perché quel periodo non è poi così lontano e ci tengo a ricordare che nei nostri giorni la libertà è tutt'altro che scontata.

  • Il monumento ai bambini uccisi al memoriale di Lidice (foto di Andrea Mainardi)
    Il monumento ai bambini uccisi al memoriale di Lidice (foto di Andrea Mainardi)