REGGIO EMILIA - TEREZIN  2016

REGGIO EMILIA - TEREZIN  2016

Cosa significa resistere?

26.02.2016 |
Lucia Cucchi, 4B Liceo Moro

Cosa significa resistere? Forse oggi dopo aver visto i luoghi dell'attentato dell'operazione Anthropoid l'ho capito un po' meglio. Due i giovani attentatori del capo nazista Reinhardt Heydrich e sette in tutto i paracadutisti morti nella chiesa di San Cirillo e Metodio, che all'allagamento della cripta in cui erano nascosti e agli spari nel muro, alle ferite non hanno ceduto consegnandosi. Si sono uccisi, perché la missione era stata compiuta e resistere significa resistere anche alle conseguenze delle proprie azioni, soprattutto.
Leggendo un pezzo del libro “Gli occhi di” che parla di uno dei due attentatori, abbiamo fatto una riflessione interessante su cosa significa resistere, e di che tipo è una forza resistente: non una semplice forza uguale e contraria, come la cara fisica vorrebbe, bensì qualcosa che va oltre il non aderire, il non pensarla allo stesso modo, potremmo dire che sia una forza pulsante, centrifuga.
Resistenza, dal latino re -“indietro”- e sistere -“fermare”- , quindi impedire, cacciare, alzare un muro, che può essere anche solo (e innanzitutto) morale: non permettere a qualcosa che tenta di infiltrarsi dentro di noi di corromperci. Resistere è restare sullo stesso sentiero, una volta trovato, quello che consideriamo giusto.
Come declinare la resistenza oggi? Dobbiamo scendere in campo e combattere, organizzare missioni? La risposta è molto semplice: sì. Non scendere in campo con pistole e bombe e piani militari, ma iniziare a resistere portando avanti i nostri progetti con coerenza, alzando un muro contro l'intolleranza dilagante verso tutto quello che è diverso, verso quello che ci fa paura e che ancora però non ci ha fatto nulla di male. Pochi giorni fa ho visto una foto in bianco e nero, che credevo raffigurasse degli internati in un campo di concentramento, invece l'inquadratura era di moltissimi migranti alle frontiere ora, nel 2016, di filo spinato. Questo è quello che intendo se dico che dovremmo resistere alla paura del diverso: scegliere di non credere alla paura del diverso solo perché è diverso, perché siamo convinti che sia ciò che non ci farà trovare lavoro o che compierà attentati, ma essere la forza centrifuga che riesce, pulsante di luce, a trovare e portare avanti un principio giusto e metterlo in pratica.
Su di noi, su noi giovani, dicono che non decidiamo, che non ce ne occupiamo, che non ci interessa, che pensiamo di essere al di sopra: possiamo iniziare a ribaltare la situazione?
Possiamo iniziare ad essere protagonisti veri di quello che ci succede intorno e dire un “No!” fermo a quello che non ci va, in cui non vogliamo stare, che ci fa schifo?
Decidere non è un voto su una scheda, è decidere tutti i giorni, è andare controcorrente, è dire quel “No!” tutte le volte che serve, proprio come dice il termine resistenza! Perché anche decidere di non decidere è una scelta. Azzardata, ma una scelta: una scelta che ci porta a non poter dire nulla su ciò che viene attuato, perché nel momento in cui avremmo potuto dire qualcosa eravamo troppo impegnati a farci scivolare addosso il resto.
Resistere vuol dire per me smettere di dichiararci non-razzisti, non-xenofobi, non-omofobi, e iniziare ad essere antirazzisti, antixenofobi e antiomofobi, significa dire “No!” se qualcuno insulta un altro uomo per il colore della sua pelle, la sua religione, il suo paese di origine, il suo orientamento sessuale. E non credo sia sufficiente farlo un solo giorno, e non credo che possiamo riuscire a costruire tutto questo in un giorno né da soli, ma un mattone per volta posato da ciascuno di noi, con una nuova voglia di stare al mondo, potrebbe davvero costruire qualcosa di inaspettato e forte.

  • La cripta della chiesa dei Santi Cirillo e Metodio, omaggio ai resistenti cecoslovacchi. Foto di Andrea Mainardi
    La cripta della chiesa dei Santi Cirillo e Metodio, omaggio ai resistenti cecoslovacchi. Foto di Andrea Mainardi